SINGOLARE INTERVISTA CON IL RE A CANNES
PRIMO COLLOQUIO CON UMBERTO DI SAVOIA
Le risposte dell’intervistato ad alcune domande sulla politica del Partito monarchico – Sul problema delle riforme sociali in Italia e sulle alleanze fra i movimenti monarchici e neofascisti
CANNES, dicembre — Umberto di Savoia mi passava per la mente come m’era sempre apparso dalle fotografie. Non era una figura che la fotografia poteva rendere esattamente. Avevo davanti un uomo che dimostrava molto meno dei cinquant’anni che quasi ha: alto, piegato marcatamente sulla vita, naturalmente non robusto, ma reso forte da una rigida educazione militare; stempiato, due occhi affaticati, con sopra quel tipico veto appannato che hanno gli occhi di chi è stato lungamente represso e si è ripiegato continuamente in se stesso. Mi venne in mente la nota rigidezza autoritaria, anche nel settore familiare, del padre; e mi si presentò un quadro diciamo così clinico di persona depressa per una doppia ragione: la prima comune a tutti coloro che giungono ad un’età matura sotto l’autorità del padre (una misteriosa ed imperiosa forza che evita al figlio di possedersi totalmente, totalmente svilupparsi, come dovesse ancora ritrovare la totale eredità del nascere, in parte ancora detenuta dal padre); la seconda tipica di coloro il cui padre è stato particolarmente autoritario. Tutto ciò si moltiplica, logicamente, in chi si trova ad essere l’erede di un trono con tutte le complicazioni di personalità che la situazione comporta.
Mentre pensavo a questo la conversazione si era avviata con scioltezza. Egli mi chiedeva di che regione ero, su quali giornali scrivevo, mi diceva che gli era difficile trattenersi a lungo in Francia, poiché le autorità locali, per quanto molto gentili, tuttavia dovevano non varcare certi limiti. Volle sapere se gli operai avevano la possibilità economica di leggere parecchi giornali e se ciò incideva sul loro bilancio quotidiano. Si mostrava molto interessato a questo proposito e affermò:
– Penso che le masse italiane siano state rese politicamente molto mature dagli avvenimenti di questi ultimi anni.
Dopo una pausa aggiunse:
– Sono convinto che il popolo italiano abbia possibilità maggiori di tutti gli altri popoli nella comprensione del tempo che viviamo. Il nostro popolo ha qualcosa di particolarmente intuitivo: una capacità di anticipare che agli altri popoli manca.
Poi aggiunse, curvandosi in avanti:
– Forse dico ciò perché io sono fatto della stessa pasta.
Non appena detto questo, mi guardò con molta attenzione, come per vedere cosa io pensassi della sua affermazione. Ma non mi dette il tempo di rispondere, si mostrò interessato di altro, mi chiese informazioni sul’«Avanti!», e subito dopo mi disse che conosceva una commedia di Antonio Greppi nella quale è messo in scena un principe in esilio. Io, finalmente, trovai comodo l’appiglio di quel non so se involontario accostamento tra socialismo e saragattismo, di quel parlare di un giornale veramente socialista come l’«Avanti!» e contemporaneamente di un saragattiano. Compresi dopo di non aver sbagliato. Umberto di Savoia non aveva a caso sollevato l’accostamento. Mi venne infatti spontaneo dire:
– Greppi è saragattiano.
Umberto di Savoia disse, come invitandomi a continuare:
– Lo so. E lei cosa ne pensa di Saragat?
Compresi che l’argomento lo interessava in modo particolare. E dissi:
– So bene che l’atteggiamento della famiglia reale sino al giorno del referendum fu favorevole a Saragat. Un fatto oggi è importante stabilire: Saragat, non avendo potuto far diventare la sua divergenza dal Partito socialista italiano condotta e norma del partito di origine, volle costruire un nuovo partito. Questa è la sua colpa fondamentale. Non c’erano divergenze tali che non avrebbero potuto trovare una soluzione in seno al partito stesso. Saragat non comprese, o forse non volle comprendere. L’unità di tutti i lavoratori era ed è l’unità stessa del popolo italiano, l’unità della Nazione. Quali interessi, invece, in lui prevalsero? Viene da pensare che egli sia stato sempre dominato dalla volontà di svirilizzare il socialismo e di asservirlo a interessi che non coincidono con gli stessi nostri interessi nazionali.
Umberto di Savoia intrecciò le dita fra loro e, piegandosi ancora di più sulla vita:
– Comprendo benissimo il nesso del suo ragionamento.
Io continuai:
– Ad ogni modo, ogni suo scopo mi sembra fallito. Tornerà o no al governo? Poco conta, se ciò non coincide con un mutamento radicale della politica interna ed estera dell’Italia.
Umberto di Savoia era all’erta. Sentivo che aspettava il punto preciso a cui intendevo giungere. Ci guardammo un attimo, egli aveva tutta l’aria sorridente di chi aspetta e invita a parlare. In quel momento mi venne spontaneo dire:
– Posso parlare?
Si mostrò sorpreso, poi sorridendo disse:
– Certamente. Me ne sono sentite dire di tutti i colori. Lo sa che ci fu un tempo in cui ho avuto l’impressione che determinati signori fossero nati col solo scopo di offendere me dalla mattina alla sera?
Allora io dissi:
– Converrà che certi monarchici fanno una politica strettamente conservatrice, soprattutto quando si muove entro lo scopo chiuso di una pura e semplice restaurazione. Lei condivide questa politica? Oppure è convinto che bisogna affrontare la soluzione dei problemi sociali con criterio socialista?
-Certamente – egli rispose.
Io incalzai:
-Solo i socialisti, secondo me, oggi riescono a guardare al di là della lotta dei partiti, nell’interesse nazionale, perché la loro maggior preoccupazione è la soluzione dei problemi sociali ed economici che assillano la vita del Paese. Crede che lei si sarebbe trovato a suo agio in un ambiente in cui la preoccupazione principale fosse stata quella delle riforme sociali?
Rispose con convinzione:
– Certamente, certamente. Io dissi:
– Stando così le cose lei non può non avvertire che i monarchici perseverano nell’errore insistendo in una posizione anacronistica e a volte anche pericolosa, se cerca alleanze persino col neofascismo, e molte volte sostenuta in malafede, per difendere interessi chiusi e personali; e continueranno a pretendere che lei sia il simbolo del loro farneticare politico. Certamente il suo istinto si ribella a tutto ciò, ma forse la sua coscienza rimane ancora perplessa.
– Umberto di Savoia scattò:
Sapesse come io so bene tutte queste cose e come sono stanco ed esasperato.
Io aggiunsi:
Vorrò vedere come accetteranno queste affermazioni i monarchici… – e faccio i nomi di alcuni esponenti monarchici.
Umberto di Savoia esclamò:
E cosa importa a lei di quel che possono pensare quei signori?
Fu bussato alla porta. Umberto di Savoia guardò l’ora il polso, si alzò e mi disse allargando le braccia contrariato:
– Ciò vuol dire che la nostra conversazione è finita.
Poi ad alta voce disse: Avanti.
La porta si aprì e comparve il Gentiluomo. Umberto di Savoia aspettò che il vecchio Gentiluomo potesse sentire e mi disse con energia:
Ci rivedremo oggi alle cinque e trenta: non ho altri impegni e potremo parlare a lungo.
Compresi che egli tenera ad annunciare alla sua piccola corte che dalle cinque e mezzo in poi voleva parlare con me libero da ogni impegno.
Poi mi strinse forte la mano.
Beniamino Joppolo