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Interviste 46-64

Intervista a Re Umberto II sul quotidiano “Paese Sera” – I parte

By Marzo 18, 2023Dicembre 8th, 2023No Comments
Re Umberto e le Principesse Maria Gabriella e Maria Beatrice, Cascais, 1952

Re Umberto e le Principesse Maria Gabriella e Maria Beatrice, Cascais, 1952

 

Oggi, 18 Marzo 2023, è il quarantesimo anno dalla scomparsa in esilio del nostro Re e contemporaneamente il ventesimo della nascita di questo sito a lui dedicato.

Oggi vogliamo ricordare quei giorni amarissimi in cui fummo costretti a varcare le frontiere italiane per rendere omaggio al Sovrano scomparso.
La commozione e lo sgomento per l’inutile crudeltà esercitata nei confronti del nostro Re e di tutti noi sono rimasti gli stessi nel corso di questi 40 anni.
In questo giorno lo ricordiamo con una particolarissima intervista in 4 puntate comparsa, molto stranamente, su un quotidiano notoriamente repubblicano e di sinistra nel 1952, Paese Sera.

Questo quotidiano è stato conservato gelosamente per circa 70 anni dall’Ingegnere Domenico Giglio, Presidente del Circolo Rex e da lui trasmessoci.

 

SINGOLARE INTERVISTA CON UMBERTO II A CANNES

TRE COLLOQUI CON UMBERTO DI SAVOIA

Intervista Re Umberto II, Paese Sera 1952

Intervista Re Umberto II, Paese Sera 1952

L’inviato di «Milano Sera» a Cannes, Beniamino Joppolo ha posto all’ex monarca in esilio cinque domande sulla guerra; sui due blocchi che dividono il mondo; sulla cortina di ferro; sull’azione del monarchico Sella di Monteluce in seno ai Partigiani della Pace; sulle possibilità d’intesa fra i popoli

«Milano Sera» ha iniziato oggi la pubblicazione di tre singolari colloqui che il suo inviato speciale a Cannes, Beniamino Joppolo ha avuto con Umberto di Savoia. Il giornalista ha specialmente rivolto all’ex sovrano cinque domande sui fondamentali problemi che inve­stono attualmente la vita del nostro Paese e che riguardano soprattutto quello ardente e drammatico della pace. Ribadendo le differenze essenziali tra la posizione dell’intervistato e dei movimenti che lo considerano loro guida e le posizioni ovviamente repubblicane sempre espresse dal nostro giornale, crediamo interessante riprodurre i tre colloqui nel loro testo preciso. Ecco l’introduzione al primo colloquio:

 

CANNES, dicembre. — Ho avuto tre colloqui con Umberto di Savoia.

Lungo il mare, percorrendo la strada che mi conduceva all’al­bergo, dove m’era stato fissato dal conte Paolo Sella di Monteluce l’appuntamento per l’in­tervista, rifacevo dentro di me le principali domande alle quali avrei tenuto soprattutto ad una risposta.

  • Non sarebbe una guerra il peggiore di tutti i mali?
  • Crede lei che realmente il mondo sia diviso in due blocchi?
  • Crede lei alla cosiddetta cor­tina di ferro?
  • Crede ad un possibile pun­to di incontro e di soluzione fra il regime capitalista e quello so­cialista?
  • L’azione svolta da Paolo Sel­la di Monteluce in seno al Mo­vimento dei Partigiani della Pa­ce, del cui Comitato mondiale egli fa parte, è un’azione con­divisa e voluta da lei?
  • Crede possibile un’intesa tra tutti i popoli?

Il silenzio della sera, in una cittadina non ancora conturbata dalle mondanità della «stagio­ne» e tutta compresa del suo ma­re tranquillo e delle sue barche a secco ben allineate sulla spiag­gia, mi aveva disteso l’animo in maniera da farmi entrare nell’albergo con molta speranza di trovare un Umberto di Savoia quale Paolo Sella di Monteluce me lo aveva descritto, cioè molto preoccupato di come andassero le cose in Italia e fuori Italia, sotto la minaccia di una nuova guerra.

Consegnate le lettere di pre­sentazione, una per Urnberto di Savoia. l’altra per il suo aiutante fui invitato ad aspettare nella hall. Mi resi subito conto che il portiere dell’albergo seguiva la condotta di svolgere le pratiche del genere con un’aria distratta ed evasiva. Mi disse che l’aiutante non c’era, che Umberto di Savoia era in riviera, che tutta­via aspettassi perché c’era chi mi avrebbe dato una risposta. Sentii che si iniziava l’attesa.

Sedetti su di una poltrona e ripresi a riordinare le mie idee. Riassunsi quella che poteva es­sere la mia posizione nei con­fronti del rappresentante ultimo, in esilio, di quella monarchia sot­to cui ero nato e vissuto sino alla virilità: volenti o nolenti, egli è stato mio sovrano ed io sono stato suo suddito. Volenti o no­lenti, lui ha pesato sul mio desti­no ed io, in un certo qual modo, ho pesato sul suo. Osservavo le colonne lucenti della hall del­l’albergo e fermavo la mia attenzione su due bambini che correvano continuamente dalla hall a un salottino adiacente, e dal salottino alla hall. Ad un tratto, avvertii che in quel salottino si parlava italiano.

Allora pensai che la ragione per la quale mi trovavo lì stava a cuore alla stragrande maggio­ranza del popolo italiano. Pace o guerra… Sentii profondamente, l’importanza di poter porre la stessa domanda ad un impiegato, ad un uomo di governo, ad un operaio, ad un contadino, allo stesso ex re in esilio, a monarchici o repubblicani, a chiunque cioè si preoccupa del bene del Paese, al di fuori dei partiti, del­le ideologie, della fede religiosa.

Dal salottino uscì un signore anziano, corpulento, ben curato che si avvicinò al telefono posto sul tavolo del portiere e si mise a parlare con una pronuncia che oscillava tra il romano e il napoletano. Furono da lui chiamati al telefono i bambini che continuavano a rincorrersi ed il portiere offrì alla fem­minuccia, con molta deferenza la cornetta. Questa deferenza mi fece supporre che si trattasse di persone altolocate, tanto più che in genere i bambini risultano mal sopportati nei grandi alberghi.

Mi si chiamò al telefono. Mi si telefonava in francese, da non so dove, e mi si parlava di Sella, che mi aveva fornito le lettere di presentazione. Io pensai che l’indagine si iniziava e spiegai che ritenevo sufficiente l’essermi dichiarato giornalista, che non c’entrava più il mio presentato­re, ma che si trattava solamente di introdurmi presso Umberto Savoia. Allora la telefonata si chiuse e mi si presentò un signo­re, di cui non faccio il nome per suo espresso desiderio e che chiamerò il Gentiluomo.

Il Gentiluomo si dimostrò evasivo, mi disse che «Sua Maestà il Re» ere molto impegnato, che era arrivato tardi e doveva vedere la sorella ed i nipoti che da lungo tempo non vedeva (e mi indicò il salottino in cui si parlava in italiano). Se volevo pazientare non era il caso di vederlo per pochi minuti – me ne stessi nel mio albergo e mi avrebbe fatto avvertire. lo feci osservare che chi mi presentava aveva già preso accordi diretti con Umberto di Savoia, che ero venuto espressamente da Milano a Cannes, che non avevo molto tempo disponibile e che non intendevo rimanere bloccato a lun­go in albergo. Vedevo intanto che lui mi scrutava. Allora mostrai il passaporto, per dimostrare che io ero io. Non avevo sbagliato. Il Gentiluomo, con molto garbo d’altra parte, mise gli occhiali e lo esaminò e da quel momento si mostrò cedevole, sciolto e cor­tese. Mi disse che l’indomani mattina sarei stato certamente ricevuto da «Sua Maestà il Re». Mi avrebbe fatto avvertire del­l’ora con un biglietto che mi sa­rebbe stato recapitato in serata all’albergo, rimanendo io in tal modo libero. Così fu difatti.

L’appuntamento era per le un­dici del mattino. Ed esattamente alle undici io fui ricevuto. nella sua camera di albergo da Um­berto di Savoia. Vi fui accompa­gnato dal Gentiluomo: Umberto di Savoia si alzò da una scrivania, e aggirando un ta­volo, mi venne incontro. Il Gen­tiluomo che mi aveva accompa­gnato era già scomparso. Io e Umberto di Savoia eravamo soli. Mi si accostò sorridendo e mi strinse la mano, con una sua ma­no forte ed ampia, che tenne stretta la mia per qualche atti­mo. Disse:

– Molto piacere di vederla, l’aspettavo.

Poi sedemmo uno di fronti, all’altro.

Beniamino Joppolo