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Regina Maria José, interviste

La mia vita nella mia Italia – di Giacomo Maugeri 1958 – 9

By Ottobre 19, 2018Ottobre 24th, 2021No Comments

Partite di pesca nel golfo di Napoli – La tragica sorte di Astrid 

L’episodio della spigola

Il secondo segreto riguarda una spigola, pescata da Maria José. Solo
adesso, se i suoi occhi si poseranno su queste righe, l’augusta signora conoscerà tutta la verità. « Alfonso », aveva detto un giorno, « prepari le reti. Andiamo a pesca ».

Il racconto che Alfonso fa di quest’episodio, nel suo pittoresco dialetto, è troppo bello per modificare una sola virgola. Eccolo: «Buttiamo le reti e tiriamo su tre o quattro chili di cefali. Caso raro, pigliamo anche una spigola. ’’Finalmente abbiamo avuto il piacere di pigliare una spigola”, mi dice la principessa. Si fanno le cinque e stiamo ritornando a riva. ’’Alfonso”, mi dice la principessa, ”ho pensato una cosa: questa spigola la mangerei io. Lei mi deve fare il piacere di portarla a palazzo reale e di consegnarla ai cuochi. La faccia fare lessata, con la maionese.

Ma la deve portare viva”. Arriviamo a villa Maria Pia, la principessa scende e io attacco la barca. C’era lì Antonio, mio nipote, nu’ guaglione che è morto in guerra, povero figlio. Io gli dico di stare lì, a sorvegliare la spigola che ancora respira, mentre io salgo a casa a vestirmi pulito, per andare a palazzo. Quando torno trovo Antonio, co’ na faccia ‘e fesso: “Zi Alfò, aggiu fatto o guaio. A spigola ha gghiuto a mmare’’. ”Chi ci o và a dicere alla principessaT”. Ero disperato, non sapevo come fare. Mi viene un’idea: vado a Mergellina e compro un’altra spigola alla pescheria. Tanto quella mi tiene fiducia. Corro a Mergellina. Era domenica. Le pescherie sono chiuse. ”E mò che faccio?”. Io sudavo. Il pranzo veniva servito alle otto. A piazza Torretta, c’erano le moto a tassametro, j col sidecàr. Mi faccio portare di corsa al mercato dei pesci, a Borgo Pescatori, vicino alla ferrovia. Anche là, chiuso. Erano le sei e mezzo; le sette quasi, io sudavo. Per fortuna trovo un capo-paranza, Gennaro. Era un amico. Gli racconto il guaio che m’ha combinato Antonio.

”Mò”, mi dice Gennaro, ’’apriamo la mia pescheria, a piazza Torretta, e vediamo se c’è una spigola”. E difatti, come Dio vuole, troviamo una spigola in ghiaccio. Era di due, tre giorni, non di più. La piglio e
filo al palazzo reale. ”C’è ’na spigola da pulire per la principessa.
Lessata, colla maionese. Mi raccomando”, faccio. Era già tardi, la cena era quasi pronta. ”A quest’ora chi la pulisce, questa spigola?”, dicono i cuochi. Io quello cercavo, perché se la spigola la pulivano i cuochi lo vedevano subito che non era fresca. La piglio, svelto svelto, la sventro, la metto nell’acqua, la faccio cuocere e filo di corsa a villa Maria Pia. C’erano sei, sette persone a pranzo. Io sudavo. Quando c’erano invitati servivano a tavola i camerieri di palazzo. A un certo punto, un cameriere mi chiama: ’’Alfonso, ti vuole la padrona”. ”è successo 11 guaio”, penso io, ’’quella s’è accorta che la spigola non è la sua”. Sudavo. Mi affaccio nella stanza da pranzo: ’’Permesso?”. ’’Venga, venga, Alfonso”, mi dice la principessa: ’’Bravo, Alfonso. Non ho mai mangiato un pesce così saporito”. ”San Gennaro, avete fatto il miracolo”, penso io. Aveva tanta fiducia in me, la principessa ».

“Vi dovete tagliare i baffi”

Questa è la storia autentica della spigola, nella sua comica drammaticità. I principi di Piemonte volevano molto bene ad Alfonso. Tanto che, una sera in cui c’era festa, Umberto lo mandò di rinforzo a
palazzo reale. Era una festa mascherata. I camerieri erano in costume e c’era il barbiere che li truccava, con una tintura che argentava loro i capelli. « Vi dovete togliere i baffi e le basette », disse il barbiere ad Alfonso. Umberto odiava le basette, che a palazzo erano proibite, ma tollerava quelle di Alfonso, che ne era fierissimo. « Le basette sì, ma i baffi no, non me li taglio », rispose al barbiere. Costui insistette: «Anche i baffi ». Alfonso tenne duro: « Vado dal direttore ». « Caro Botta », gli disse il direttore, « ordine del principe ». Alfonso, avvilito, sacrificò anche i baffi. L’indomani mattina, scendendo per il bagno, Maria José scorse Alfonso senza baffi. Non gli chiese, come faceva ogni mattina: ’’Alfonso, novità?”. Anzi, gli lanciò una rapida occhiata e andò a prepararsi per il bagno, senza dire una parola. Era la prima volta che la principessa manifestava tanta freddezza ad Alfonso. Il poveraccio si domandava: ”E come? Che ho fatto? Che sarà successo?”. Dieci minuti dopo, però, Maria José gli disse: « Alfonso, so tutto. Chi le ha dato ordine di tagliarsi i baffi? ». Alfonso raccontò com’erano andate le cose. « Va bene, va bene, dirò tutto al principe ». Più tardi, Umberto lo fece chiamare e si fece raccontare tutta la storia. «Mi hanno detto che era ordine di Vostra Altezza Reale. Io mi sono dovuto arrendere ». « Ma tu eri escluso », gli disse il principe. Finché non gli rispuntarono i balletti, Alfonso si sentiva a disagio, in presenza dei principi. E per riprendere al più presto la sua fisionomia abituale pensò bene di disegnarsi dei baffetti finti, con un turacciolo affumicato.

Anche la principessa Maria Pia, bimbetta, aveva una predilezione per Alfonso. Quando, con la nonna Elisabetta, giunsero dal Belgio, per le loro prime vacanze in Italia, i cugini Baldovino, Giuseppina Carlotta e Alberto, Maria Pia ebbe fierissime contese con il futuro Re dei Belgi, per disputargli il possesso di Alfonso. « Alfonso è mio », diceva Baldovino. Gli piaceva moltissimo farsi portare a cavalluccio. « No, è mio », ribatteva la principessina. Un giorno il litigio si invelenì e Maria Pia prese un limone e lo scagliò in faccia a Baldovino.

I principini belgi avevano perduto da poco la mamma, la buona Regina Astrid. Diciotto mesi dopo la morte di Re Alberto, nuovamente la sventura si era abbattuta sulla famiglia reale belga.

Un ritratto di Astrid, in una massiccia cornice d’argento, lo si può vedere, a Merlinge, nello studio di Maria José, una stanza piena di libri e di carte, dove le persone di servizio rimettono, quando ne ottengono autorizzazione, un minimo di ordine e dove Maria José riporta il tipico scompiglio di chi lavora di penna. * Quella fotografia », mi diceva Maria José, « è l’oggetto che, in tutti i luoghi che ho abitato, da Napoli in poi, riappare per primo, appena si disfano i bagagli. In Italia, in Portogallo, in Svizzera, dovunque io mi sìa trovata, quasi automaticamente, quella fotografia riappare sul mio scrittoio. Non c’è bisogno che io dica nulla alle persone di servizio; tutte, immancabilmente, ne prendono cura, per quella istintiva, ingenua simpatia che suscita, anche in chi non l’ha conosciuta, il ricordo di Astrid. Non ebbi il tempo di conoscere  profondamente mia cognata, quando diventò la moglie di Leopoldo. Poco tempo dopo mi sposai anch’io e partii per l’Italia. Era molto buona e avevamo, runa per l’altra, un sincero affetto. Io penso, a proposito di lei, che la morte, certe volte, giungendo improvvisa, conferisce un’aureola di leggenda,crea di certe persone un’immagine che non si cancella più. Una morte tragica, nel fiore della giovinezza; si entra nella storia e vi si rimane per sempre in un atteggiamento che intenerisce tutti i cuori ».

Nel 1935, quando Maria José compì il suo secondo viaggio in Libia, la quarta sponda” era governata da Italo Balbo: l’incarico era stato attribuito da Mussolini al quadrumviro dopo gli entusiasmi suscitati dalle trasvolate atlantiche che Balbo aveva guidato. Qui M aria José è appunto accanto a Balbo. « Durante tutto il mio viaggio in Libia », ricorda Maria José, «Balbo non fece che dire male di Mussolini». In quegli anni il quadrumviro deluso dal fascismo, andava accostandosi alla Monarchia e teneva contatti con esponenti monarchici.

 

La morte di Astrid

Era il 29 agosto 1935 quando, sulla strada che va al Gottardo, ad alcuni chilometri da Lucerna, in una località chiamata Kussnacht, la ’’Packard spyder” dei giovani sovrani belgi uscì di strada e andò a cozzare contro un albero. Erano andati a trascorrere in Svizzera l’ultimo periodo delle loro vacanze.

Vi erano arrivati dall’Italia (dove avevano compiuto alcune ardite ascensioni nelle Dolomiti), con i loro tre bambini, Baldovino, Giuseppina Carlotta e Alberto ancora in fasce. Avevano preso alloggio nella villa Haslihorn, a Lucerna, che era stata acquistata dal defunto Re Alberto. Il 28 agosto, con le governanti, i principini erano ripartiti per Bruxelles, in treno. Due o tre giorni dopo, il papà e la mamma li avrebbero raggiunti. In tenuta da alpinisti, la mattina della disgrazia, il Re e la regina, accompagnati dall’autista che aveva preso posto nello ’’spyder”, avevano lasciato la villa per un’escursione in montagna, forse l’ultima del loro programma di vacanze. La potente “Packard” guidata da Leopoldo stava costeggiando ad andatura moderata il lago dei Quattro Cantoni.

Alla destra del marito. Astrid teneva spiegata sulle ginocchia una carta stradale e stava studiando l’itinerario. Si confuse nella lettura di un segno topografico e chiese qualche chiarimento a Leopoldo.
Egli distolse per un attimo lo sguardo dalla strada e si chinò per dare una rapida occhiata al foglio. Aveva piovuto abbondantemente, l’asfalto era bagnato. Una buca fece sbandare la pesante macchina, il Re non fece in tempo a riprenderne il controllo. La ’’Packard” si impennò e si abbatté contro un albero. Astrid, ferita alla fronte, morì sul colpo.

La Regina Elisabetta ricevette la notizia del luttuoso incidente a Napoli, dove si trovava da alcune settimane, ospite della principessa di Piemonte, a villa Rosebery. «Toccò a me», dice Maria José, «informarla di ciò che era accaduto. Eravamo sulla spiaggia quando venni avvertita che mio fratello chiedeva di me al telefono, da Lucerna. La sua voce era ferma: ”È accaduta una grande disgrazia”, mi disse: “Astrid è morta. Raggiungetemi subito a Bruxelles. Ora vorrei parlare con la mamma”. Riferii queste parole di Leopoldo a mia madre: ”È una cosa terribile”, disse lei. Partimmo per il Belgio con il. primo treno. Alla stazione di Bruxelles trovammo Leopoldo che ci attendeva. Era terribilmente abbattuto. Aveva il braccio ingessato, legato ai collo con una benda. Né in quel momento, né in seguito facemmo parola della nuova sciagura che aveva colpito la nostra famiglia. La situazione era troppo tragica: le parole, in casi come questi, sono inutili. Era la prima volta che facevo ritorno nel Belgio, da quando ero partita per l’Italia: e questo ritorno, che avevo lungamente desiderato, avveniva in circostanze così tristi. Leopoldo e mia madre avevano bisogno di me. Ripartii per l’Italia solo alla fine di novembre ».