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Il mio esilio di Luigi Cavicchioli

Il mio esilio – di Luigi Cavicchioli – 7

By Marzo 2, 2020Gennaio 24th, 2022No Comments

Ho domandato a Umberto di Savoia: « E’ vero che Vostra Maestà, come mi è stato riferito, figura da anni nell’elenco dei donatori di sangue di Cascais? ».

« Le sembra una notizia tanto importante? ».

Proprio importante forse no. Ma é senza dubbio una notizia “curiosa” alla quale vale la pena di dedicare dieci righe in un articolo,..

«Non ne vedo neppure il lato “curioso”, francamente, I donatori di sangue sono legioni in tutto il mondo: se lei dovesse dedicare dieci righe a ognuno di essi, avrebbe di che scrivere alcune centinaia o migliaia di volumi ».

« E’ vero che i donatori di sangue sono legioni. Ma certamente non sono molti mi permetta il gioco di parole I donatori di sangue reale: il lato “curioso” è questo. Mi hanno detto, Maestà, che lei porta sempre con sé, per ogni evenienza, anche durante i viaggi all’estero, la sua tessera di donatore di sangue: e che più di una volta ha avuto modo di prestarsi per trasfusioni urgenti. Mi hanno detto anche, fra l’altro, che alcuni anni fa le accadde di dare il sangue a un pescatore di Cascais che si era ferito gravemente in una disgrazia: il pescatore si ristabilì e adesso, così mi è stato detto, é orgogliosissimo di quella sua singolare avventura e non perde occasione per vantare il “sangue reale” che da allora gli scorre nelle vene .

A mensa col re arabo

Umberto cambia discorso troncando un argomento che lo mette a disagio e lo infastidisce. Tuttavia ho potuto accertare in seguito l’esattezza della notizia: ma una delle tessere della associazione dei donatori di sangue di Cascais è intestata effettivamente a Humberto Conde de Sarre.

Queste sono le generalità ufficiali di Umberto in Portogallo. Anche sul passaporto che le autorità locali gli hanno rilasciato egli figura come Humberto Conde de Sarre. Ma in realtà ben pochi sanno in Portogallo chi è il Conde (cioè il Conte) de Sarre, mentre tutti conoscono o Rey d’Italia. Del resto il rango di sovrano gli è riservato in tutte le cerimonie e in tutti i banchetti ufficiali portoghesi del Corpo diplomatico, dell’accademia delle scienze.

La vita privata di Umberto a Cascais è estremamente sobria. Ma quando ci sono ospiti alla sua mensa, tutto si svolge secondo le regole del cerimoniale di corte e Villa Italia diventa una autentica anche se piccolissima reggia. Fra gli invitati c’è spesso, con alte personalità della politica e della diplomazia, il fior fiore della cultura e dell’arte portoghese: scrittori, pittori, scienziati (un premio Nobel è fra i più assidui) sono i commensali che Umberto predilige. Non c’è, si può dire, personalità eminente del mondo intero che, di passaggio dal Portogallo, non si fermi a Cascais dal “re d’Italia”.

I pranzi a Villa Italia comprendono generalmente due sole portate e un dolce. Ma la cucina è eccellente. Per conciliare le leggi del protocollo con quelle della galanteria, le vivande vengono portate sempre con due zuppiere o due vassoi e servite contemporaneamente al sovrano e alla signora che siede alla sua destra. Benché a tavola sia di solito molto sobrio e frugale Umberto è un buongustaio. Quando non ci sono ospiti preferisce la cucina tipicamente italiana, ma semplice e poco pesante. Quando ci sono ospiti il pranzo viene sapientemente allestito con criteri internazionali.

Quando viaggia, Umberto chiede sempre, al ristorante, dovunque si trovi, i piatti caratteristici del luogo: lo considera quasi un dovere di cortesia verso la città che lo ospita; e considera un dovere di cortesia dimostrare pieno gradimento, anche quando la “specialità” non lo entusiasma affatto. A questo proposito racconta lui stesso m divertente caso che gli toccò durante m viaggio in Oriente, quando era principe ereditario.

«Fummo invitati », racconta, «alla mensa di un capo arabo, compitissimo anfitrione, a modo suo, il quale, all’inizio del banchetto, con gli occhi scintillanti di orgoglio, ci preannunciò che avremmo gustato un piatto degno della mensa degli dei. Giunsero poco dopo gli inservienti che deposero davanti a ogni commensale un piatto di cavallette fritte in un olio denso e maleodorante. Vidi qualcuno del mio seguito che tentava di far sparire il “cibo degli dei” sotto il tovagliolo. Io mi feci coraggio e inghiottii, una dopo l’altra, le abominevoli cavallette. Fu un supplizio atroce. Ma all’anfitrione che mi guardava con aria trionfante riuscii persino, fra un boccone e l’altro, a rivolgere qualche pallido sorriso dì compiacimento. Sapevo che l’avrei profondamente mortificato se avessi respinto quel piatto di cui andava tanto fiero. I più tipici prodotti gastronomici del vari Paesi sono spesso patrimonio e vanto nazionale ».

Come si svolge una normale giornata del re in esilio? Si alza esattamente alle sei e mezzo d’estate e alle sette d’inverno. Nella sua stanza (ho avuto occasione di darvi una rapida occhiata un giorno che Umberto era assente da Cascais) non c’è un letto vero e proprio: c’è una semplice rete posata sul pavimento, con sopra il materasso e le coperte. A portata di mano c’è un piccolo giradischi: la sera, prima di coricarsi, ascolta volentieri un brano di musica sinfonica, o anche una delle più recenti canzoni italiane, o un malinconico “Fado” portoghese. Sul comodino c’è una piccola bandiera italiana. Accanto alla bandiera, in una cornice d’argento, c’è una fotografia di Maria José, giovane, sorridente e serena, con gli occhi luminosi. Quell’immagine dall’espressione così dolce e affettuosa (la fotografia da incorniciare non può essere stata scelta a caso) posata lì sul comodino non può non richiamare alla memoria, per stridente contrasto, i pettegolezzi sempre ricorrenti sui dissidi fra i due coniugi. Quando Umberto parla della moglie la sua voce tradisce a volte un’ombra di tenerezza e di malinconia. E anche quando rievoca l’affetto tenacissimo che unì fino alla fine i suoi genitori, si ha a tratti l’impressione di sentir vibrare nella sua voce un rimpianto per qualcosa che poteva essere e non è stato. Negli anni della giovinezza il principe Umberto fu senza dubbio protagonista di non poche (forse assai meno di quante gliene attribuirono, ma comunque non poche) avventure galanti; del resto la galanteria fu sempre una caratteristica dei Savoia (con l’unica eccezione di Vittorio Emanuele III, che in tutta la vita non amò altra donna all’infuori di sua moglie), tanto è vero che re Vittorio Emanuele II era solito dire, non senza orgoglio: “Nella casa Savoia gli uomini sono tutti donnaioli, ma le principesse sono tutte virtuose”.

La sua solitudine

Da giovane Umberto (qual, donna non era innamorata del bellissimo principe?) si comportò in modo che l’avo Vittorio Emanuele II, senza dubbio, sarebbe stato fiero di lui. Ma da quando fu chiamato, in tempi tragici per l’Italia, alle più alte responsabilità, la sua condotta fu sempre irreprensibile. In tutti questi anni di esilio la sua vita privata non ha mai offerto il minimo spunto serio neppure ai più avidi cacciatori di pettegolezzi: è stata ed è, in un certo senso, la vita di un asceta moderno, il che non esclude i viaggi In automobile, le nuotate e le gite In barca, le partite di calcio, le serate a teatro, i ricevimenti (nel ricevimenti, quando di solito spetta a lui aprire le danze, se la cava magnificamente bene, conosce e pratica in modo impeccabile anche certi balli moderni). E’ tutt’altro che un misantropo: coltiva le amicizie, ama la conversazione brillante, assolve con estrema eleganza tutti i doveri mondani del suo rango. E’ facile vederlo sorridente, vivace, di buon umore. Sul suo viso non si notano tracce di amarezza, di sconforto, di inquietudine. Ma a frequentarlo un po’ più a lungo, a saper scrutare dietro la sua maschera di serena indifferenza (o rassegnazione? o soltanto autocontrollo?) si intuisce una più intima solitudine, una superiore tristezza, un disinteresse per le piccole cose di ogni giorno, forse , un inappagato bisogno di affetti e di intimità familiare.

Quali sono i veri sentimenti di Umberto per la moglie? Indifferenza o insofferenza o addirittura rancore, com’è stato detto? Non é certo da lui che può venire una  confidenza chiarificatrice su questo argomento. Non parla volentieri di sé e non tollera che qualcuno tenti di carpirgli confidenze di carattere strettamente personale. Una domanda del genere avrebbe ottenuto soltanto una secca e  gelida risposta ufficiale. Per cercare di scoprire i sentimenti più veri e segreti che Umberto nutre oggi per la moglie, senza prendere in considerazione da una parte i pettegolezzi e dall’altra le smentite ufficiali, non mi è rimasto che qualche indizio di ordine psicologico. E un indizio non trascurabile m’é sembrato quel ritratto di Maria José dall’espressione dolce e affettuosa, posato sul comodino accanto al letto di Umberto: l’indizio è valido perché il ritratto non è nello studio o nel salottino, dove entrano i visitatori, dove avrebbe potuto assumere un valore soltanto convenzionale, ma è in una stanza dove non entrano gli estranei, dove, a parte la servitù, non lo vede che Umberto.

Un altro indizio che vale la pena di citare me lo ha fornito Ezio Saini, giornalista e storico fra i più informati per tutto ciò che riguarda la monarchia e i Savoia. Racconta Saini che quando Maria José, all’inizio del 1947, perdette la vista e si temeva che restasse cieca per sempre, una mattina Umberto, proprio nei giorni in cui ogni speranza sembrava perduta, si recò in gran segreto al famoso santuario di Fatíma che dista 150 chilometri da Cascais, e vi rimase molte ore, in preghiera, confuso fra la folla del fedeli. Non rivelò mai a nessuno, neppure alle persone della casa, la meta e lo scopo di quel suo viaggio soltanto l’autista che lo accompagnò ne era a conoscenza.

Ma torniamo allo svolgimento della giornata del re in esilio. Alle otto e trenta (si é già sbarbato con un normale rasolo Gillette, è rimasto alcuni minuti sulla veranda a respirare a pieni polmoni l’aria dell’Atlantico, ha già letto i primi giornali) si fa portare nello studio del primo piano un the o una spremuta d’arancia. Se non ha visite resta nello studio a lavorare. In questo momento sta ultimando un’opera di grande interesse storico, che gli sta molto a cuore, e che verrà pubblicata con ogni probabilità entro l’anno: sì tratta dell’epistolario di re Vittorio Emanuele II, ordinato e pubblicato per la prima volta. Per questo lavoro si è valso della collaborazione di due fra i più eminenti storici italiani, i professori Rodolico e Cognasso.

L’Italia è un grande Paese

Per ricevere i visitatori scende, di solito, nel salottino del pianterreno. L’incontro con gli italiani di passaggio che gli chiedono udienza non è mai una breve formalità, ma un colloquio che spesso si protrae assai più del previsto. Umberto è avido di sapere tutto ciò che riguarda l’Italia e chiede notizie e ragguagli sui problemi nel quali il visitatore ha una competenza specifica. Ha un particolare interesse per le vicende della politica italiana e per l’azione e gli orientamenti ideologici di coloro che ne sono gli artefici principali. Ma a Villa Italia è rigorosamente proibito parlare male del governo, come mi disse un suo collaboratore. A volte accade che un visitatore, forse credendo di fargli piacere, emetta giudizi negativi o si lasci andare a considerazioni ironiche sulla situazione italiana o su qualche uomo politico di primo piano. in questi casi Umberto si irrigidisce immediatamente.

Un giorno un visitatore, per alludere all’Italia, usò con intenzione sarcastica la parola “repubblichina”.

«Lei allude alla piccola repubblica di San Marino? », domandò Umberto, gelido.

«No, alla “repubblichina” Italiana », insistette, euforico, il visitatore.

«Allora devo rammentarle che l’Italia, malgrado tutto, è ancora un grande Paese e non merita diminutivi ».

Un’altra volta un visitatore si lasciò andare a una critica serrata dell’ azione che il governo italiano allora in carica andava svolgendo e del “malcostume del sottobosco politico”.

A un certo momento Umberto, visto che il suo gelido silenzio non bastava ad arginare l’eloquenza dell’interlocutore, lo interruppe dicendo:  «se lei in questo momento fosse in Italia avrebbe senza dubbio il diritto di dire liberamente queste cose. Ma poiché si trova in un Paese straniero non ha il diritto di dirle, né io desidero ascoltarle».

L’interesse vivo e autentico che Umberto ha per le idee dei maggiori esponenti della politica ita1iana è dimostrato da questo episodio. Alcuni anni fa era a Losanna quando lesse per caso su un giornale che quella sera stessa l’onorevole Fanfani avrebbe tenuto una conferenza su un tema di economia politica in un teatro di Ginevra. Umberto disdisse un precedente impegno e, in compagnia del capitano Castellani, suo aiutante di campo, partì in macchina per Ginevra, col solo scopo di ascoltare Fanfani. Umberto pagò il biglietto di ingresso e andò a sedere in fondo alla sala, cercando di passare inosservato. Al termine della conferenza applaudì l’oratore e poi uscì in fretta dal teatro e si allontanò. Andò quindi a cena, sempre in compagnia dell’aiutante di campo, in un ristorante della città. il Richmond. Il caso volle che pochi minuti dopo giungesse in quello stesso ristorante l’onorevole Fanfani in compagnia di altri due italiani. Presero posto a un tavolo non lontano da quello di Umberto senza dapprima notarlo. Quando Fanfani lo vide e lo riconobbe restò per un istante con la forchetta a mezz’aria, come incerto se andarlo o no a salutare: poi si limitò a fargli un mezzo sorriso, un po’ impacciato. Umberto rispose con un sorriso e un lieve cenno del capo.

Nelle prime ore del pomeriggio, prima di rimettersi al lavoro, Umberto fa spesso una lunga passeggiata (è un camminatore instancabile) per i viottoli della collina che sovrasta Cascais, oppure arriva fino alla Boca do Inferno.

Con frequenza va a fare visita alla famiglia di don Juan, il pretendente al trono di Spagna, che vive a pochi chilometri da Cascais, in una villa di Estoril chiamata “La Giralda”. Con questa famiglia Umberto ha rapporti di affettuosa amicizia (« Don Juan mi è quasi fratello», dice). Quando uno dei figli di don Juan, don Alfonso, il giovedì di Pasqua di alcuni anni fa, restò vittima di un tragico incidente (si uccise mentre giocava con una pistola), Umberto ne fu sconvolto e lo pianse come un proprio figlio.

La costa dei re

Lungo la costa o sulle colline attorno a Cascais ci sono le residenze di altre famiglie reali. A Sintra c’è il castello del conte dì Parigi, pretendente al trono di Francia, che fino a qualche anno fa era, come Umberto, bandito dal proprio paese: poi il divieto fu abolito dal parlamento francese e la famiglia del conte di Parigi rientrò in patria (ma torna a Sintra di quando in quando per più o meno brevi soggiorni). A Carcavelos, a metà strada fra Lisbona e Cascais, vive l’arciduchessa Anna, Re Carol di Romania ha trascorso gli ultimi anni della sua vita a Estoril. Anche il pretendente al trono del Portogallo, don Miguel, che risiede normalmente nel proprio paese, trascorre con la famiglia lunghi periodi in una villa non lontana da Cascais. Tutti gli esponenti di queste famiglie di sangue reale hanno per Umberto grande rispetto e si considerano in un certo senso sotto la sua autorità.

Abbastanza spesso Umberto si reca nelle ore pomeridiane a Lisbona, per effettuare qualche ricerca in biblioteca, per dare una occhiata a una mostra d’arte, per visitare un museo, per fare una capatina nelle botteghe di antiquariato. Durante il breve tragitto in automobile siede accanto all’autista: soltanto quando si reca a qualche ricevimento o cerimonia ufficiale osserva una più rigida etichetta e si accomoda sul sedile posteriore. Attualmente la sua automobile è una Fiat 2100 blu: in passato ha avuto una 1100 vecchio tipo, una 1400, un’Alfa Romeo 1900, comunque sempre macchine italiane. Anche l’autista è italiano.

Più raramente si reca a Lisbona di sera, per ascoltare un concerto o per assistere a uno spettacolo teatrale. A volte va a trascorrere un paio di ore in uno dei vecchi e pittoreschi locali dove si esibiscono, con voci rauche e lamentose, col solo accompagnamento di una chitarra e di una viola a sei corde, i cantanti di “fados”. Umberto è assai sensibile al fascino e alla struggente malinconia dei fados, antichi canti popolari dei Portogallo.

Anche le manifestazioni sportive lo attraggono. In gioventù praticò molti sport. Era un ottimo sciatore: con la sua presenza trasformò rapidamente alcune località pressoché sconosciute, come il Terminillo, in affollatissimi centri turistici. Molti successi sportivi e mondani li ottenne con l’equitazione, soprattutto a Torino, durante i memorabili caroselli in costume medioevale, giostrando con eleganza e maestria. Era anche un appassionato cacciatore. Aveva una speciale attitudine per gli sport nautici: prese parte a varie competizioni fra cui le regate nella laguna veneziana. Umberto, sempre così misurato e alieno da impulsi emotivi, si anima per un momento rievocando gli anni felici della sua giovinezza, e le sue imprese sportive. Poi, con tra gesto di rassegnazione, conclude: «Non ho più i miei cavalli, né i miei fucili da caccia né le mie barche, ma ho ancora le mie lunghe braccia per nuotare e le mie lunghe gambe per camminare: mi basta».


Esperto di corride

Va a vedere abbastanza spesso le corridas portoghesi, che sono diverse da quelle spagnole, più eleganti e meno crudeli. Il toreiro portoghese, infatti, giostra col toro e si esibisce in mille virtuosismi, ma al termine dello spettacolo non uccide la bestia. In fatto di corridas Umberto ha acquistato una sicura competenza tecnica che gli permette di valutare i pregi e i difetti di una esibizione. I più noti toreiros lo conoscono e tengono in considerazione il suo, come quelli di un critico autorevole pressoché infallibile. Va anche, di quando in quando allo stadio nazionale di Lisbona a vedere una partita di calcio, questo é per lui lo svago più riposante (a meno che una delle due squadre in campo non sia l’Italia, nel quale caso è tutt’altro che riposante). Anni fa si recò, in compagnia del capitano Castellani a vedere un incontro fra la nazionale militare italiana e quella portoghese. L’Italia andò presto in svantaggio (e finì battuta). Nelle fasi più emozionanti del gioco Umberto sentiva l’impulso irresistibile di comportarsi come un tifoso qualunque, e di incitare a gran voce gli azzurri. Ma gli sembrava che così facendo avrebbe commesso una scorrettezza verso il Paese che lo ospita. Riuscì a dominarsi e a rimanere impassibile fino al termine, della partita ma fu uno sforzo snervante.
Il giorno dopo (era la vigilia di Pasqua) i militari della nazionale azzurra prima di ripartire per l’Italia, ricevettero ognuno un enorme uovo pasquale, senza nessuna indicazione: incuriositi si chiedevano l’un l’altro chi mal poteva essere il misterioso donatore (non hanno mai né saputo né sospettato che si trattava di un piccolo pensiero di quell’unico italiano che  non aveva potuto fare apertamente il tifo per loro).

«Posso tuttavia affermare con  legittimo orgoglio », mi ha detto Umberto scherzosamente di avere una volta contribuito  personalmente e in modo concreto alla vittoria della nazionale.
Fu, se ben ricordo, nel 1951. Gli azzurri erano a Lisbona per affrontare la nazionale. Il giorno prima dell’incontro i giocatori, coi dirigenti e i medici, vennero a farmi visita a Cascais. Parlammo a lungo della partita. Erano alquanto pessimisti sull’esito. Io diedi loro alcune informazioni sulla tecnica di gioco e le caratteristiche individuali dei calciatori portoghesi che conoscevo bene per averli visti all’opera diverse volte. Il giorno dopo gli azzurri vinsero nettamente.
In seguito qualcuno disse che io avevo “portato” fortuna all’Italia e che i miei suggerimenti tecnici” erano stati utilissimi e avevano facilitato la vittoria degli azzurri .