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Interviste 65-83

Intervista rilasciata a Lucio Lami de “Il giornale” 1979 terza parte

By Ottobre 16, 2019Novembre 19th, 2021No Comments

L’impressione che si ha, stando a contatto con Umberto II, è che egli viva ormai in una dimensione storica. Qualsiasi polemica, anche quelle che lo riguardano personalmente, sembra arrivare qui già decantata. In Italia, nei giorni della mia partenza, era in corso una battaglia verbale sul ritorno in patria delle salme di Vittorio Emanuele III e della regina Elena ed una, parallela, sull’eventualità di un rientro dello stesso Umberto. Qui gli echi arrivano smorzati: i due argomenti non sono oggetto di approfondimento. Solo i fedelissimi che fanno la spola dall’Italia a Cascais sembrano nervosi: “A Lisbona – dicono – i colonnelli rivoluzionari hanno assegnato un palazzo ai Braganza e il figlio del pretendente al trono ha fatto il coscritto in un reggimento coloniale . In Germania , i Baviera sono alloggiati a Ninfenburg. In Austria otto d’Asburgo è rientrato con la moglie. In Francia , il conte di Parigi ha conservato il castello e persino il titolo , che Giscard d’Estaing ha rispettato nel momento stesso in cui aboliva tutti gli altri. Solo l’Italia sembra aver paura di un uomo di 75 anni”.

Umberto sembra lontano anche da tutto questo; solo le nostalgie affiorano inconfessate, dal vulcano dei ricordi, senza esitazione: rammenta date e luoghi, minuziosamente. Il periodo che ha più impresso è quello tra l’arrivo a Brindisi e la partenza definitiva dall’Italia.

Come considera quei mesi?

“Come i mesi della fatica. Si faceva fatica in tutto: nel cercare un equilibrio sulla via della riconciliazione nazionale, nell’ottenere dagli americani quel riconoscimento che spesso ci accordavano solo a parole, nel ricucire i lembi di un esercito stanco e dal quale dipendeva la nostra possibilità di farci trattare da amici. La mia era una vita nuova, spasmodica. se consulta i “ruolini” di quei giorni scopre chele udienze  cominciavano alle setta del mattino. Dovevo incontrare i politici, chi chiedeva di essere ascoltato, gli amici di sempre , i nuovi nemici. Poi , correvo a visitare i ricostituiti reparti italiani, le popolazioni che venivano via via liberate, i luoghi dov’era necessario un atto di presenza . Ricordo che già nel 43 cominciai ad andare in paesi come Fornelli dove i nazisti avevano lasciato il segno della loro vendetta. La gente capiva, mi accoglieva con affetto, gli animi non erano ancora esacerbati dalla lotta politica”.

In quale veste visitava i reparti?

“Prima della Luogotenenza, in quella del semplice generale. Erano visite che gli americano non gradivano e spesso boicottavano. Dopo invece  quando divenni luogotenente, accettarono la cosa perché rappresentavo ufficialmente lo Stato”.

I contatti con gli americani non furono mai facili.

“E vero; accettavano che noi si combattesse accanto a loro, ma con molte esitazioni politiche e ricordandoci spesso che eravamo stati loro avversari. Tuttavia molto spesso, gli screzi nascevano da semplici malintesi: gli italiani non conoscevano la lingua e spesso si affidavano a interpreti che facevano rizzare i capelli. Ricordo che a certe riunioni, alle quali partecipavano i politici  italiani, molto spesso mi sentivo dire da qualche fiero antimonarchico: “Vorrebbe tradurre lei questa proposta, prima che ci fraintendano?”.

Re Umberto II, allora Luogotenente decora il Generale Clark, 1944

Re Umberto II, allora Luogotenente decora il Generale Clark, 1944

Ho notato la straordinaria abbondanza di riconoscimenti onorifici che lei concesse a ufficiali americani….

“Già. Era l’unica arma in mio possesso e me ne servivo proprio per cercare di convincere gli alleati delle nostre buone intenzioni. Non era cosa facile, ma l’onorificenza era sempre ambita. Ricordo molti anni dopo, quando visitai gli Stati Uniti, molti di quegli ufficiali mi si presentarono con le decorazioni appuntate . ricordo soprattutto quando visitai l’accademia militare di Charleston della quale era comandante onorario il vecchio generale Clark: era il giorno dedicato all’incontro dei cadetti con le famiglie; ci furono brevi discorsi di circostanza e un banchetto all’aperto per migliaia di persone. Il generale si presentò con la fascia azzurra. Molti genitori italo- americani che mi stavano accanto mi chiedevano che decorazione è? “Quella – rispondevo –  è una decorazione nostra: italiana”. Clark la ostentava ancora , visibilmente”.

La sua luogotenenza ebbe inizio con un fatto che destò vivaci reazioni: la sua intervista al New York Times nella quale, in pratica, diceva che l’avvento del Fascismo non poteva essere considerato come un motu proprio di Casa Savoia. Ci furono molti contraccolpi politici.

“Sui concetti che espressi in quella occasione il discorso sarebbe lungo. Ma ricordo quell’episodio soprattutto per due motivi : fu il primo esperimento negativo con la stampa, fu un fatto rivelatore. MI era stato chiesto di esprimere un’opinione generale sulla situazione garantendomi che il colloquio non sarebbe diventato un’intervista. E invece intervista divenne. E quando l’articolo fu abilmente utilizzato a fini politici, coprii che tanti amici, fiutando il vento, scomparivano rapidamente dal mio orizzonte per rispuntare presto su quello avversario. Fu insomma un avvenimento che mi insegnò molte cose. Stentavo a capire come il surriscaldarsi della passione politica potesse frenare la mia volontà di mettere pace e di riguadagnare il tempo perduto. In questo clima, mi colpì la vicenda delle Fosse Ardeatine. Si scrisse che lamia visita era stata contesta. In realtà, salvo un marginale episodio, la mia visita era avvenuta col consenso di tutti in un clima di grande consapevolezza ed in spirito di riappacificazione. Ricordo che al luogo dell’eccidio arrivai in macchina con Togliatti”.

Tra le sue prime visite, da luogotenente, ci fu quella a Firenze liberata. Lei in quell’occasione, pranzò con il critico d’arte Berenson. Come mai?

Re Umberto II ed il generale Clark

Re Umberto II ed il generale Clark, decorato Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine sei santi Maurizio e Lazzaro e dell’Ordine Militare di savoia

“Arrivai a Firenze per visitare il centro profughi, le truppe e anche il generale Hume che era ammalato. Ricordo che ceraci di Berenson: era un vecchio amico, ma era ebreo ed io mi chiesi subito se c’era ancora ; se aveva avuto problemi nel periodo dell’occupazione tedesca.

Una sua visita che molti ricordano ancora fu quella in Emilia e in Romagna.

 

“Sì, a metà settembre del 45. Erano visite fortunose, spesso fatte in situazioni di estremo disagio, ma in condizioni di spirito sempre più sollevato: le nostre truppe si battevano al fianco degli alleati, creavano le premesse del riscatto. In quell’occasione ricordo di essere decollato col colonnello Pidsley, ricordo il fortunoso arrivo a Forlì, la tappa a Cesena a Villa Benini, per visitare il gruppo “Cremona”. A villa Benini ero alloggiato in una stanza che aveva per suppellettili una brada e una sedia: ricevevo gli ospiti stando seduto sul letto per lasciare libera la sedia. Vennero a trovarmi il vescovo e il sindaco comunista che mi chiese una quantità di informazioni, visto che scarseggiavano le notizie dal fronte. Andai a trovare i reparti: il 21° reggimento, il 22°, il 7° artiglieria e il battaglione partigiani. Con i partigiani mi trattenei a lungo: mangiai con loro in una cascina e fummo sorpresi dal lancio di alcune granate. Ricordo che c’erano molte ragazze giovani che combattevano in quel battaglione: avevano preparato un tavolo all’aperto e una di loro venne a salutarmi e mi mise il suo fazzoletto rosso al collo. Ricordo che visitai molto punti nevralgici di quel fronte in particolare ho in mente un nome: Piratello, una frazione di Imola; fu la che ci sorprese un’imboscata e ci spararono addosso da dietro le mura del cimitero. Fortunatamente i proiettili si infilarono tutti nella parte posteriore della nostra macchina.

Re Umberto II con i fanti del Gruppo di Combattimento Friuli, che vestivano divisa inglese con mostrine italiane

Re Umberto II con i fanti del Gruppo di Combattimento Friuli, che vestivano divisa inglese con mostrine italiane

Erano momenti difficili e la situazione militare dava pensiero: Ricordo, che nei dintorni di Ravenna tutte le strade erano state minate dai tedeschi e che noi potevamo muoverci solo grazie a certi reparti di partigiani che ci precedevano e che coraggiosamente provvedevano allo sminamento. Erano stai minati anche gli argini del  Po e i campi circostanti, al punto che i contadini tenevano i loro bambini tutti radunati nel cortile di una grande cascina e non li lasciavano uscire. Io feci tappa, casualmente, a quella cascina e rimasi stupito nel vedere quella specie di colonia di ragazzi, finché non me ne spiegarono il motivo. C’era sempre un problema, in casi come quello, la scarsità di viveri, sicché la sera trovammo modo di mandare dei rifornimenti ai ragazzi.

Le visite non avevano un programma preciso?

“Come fare programmi, in quelle condizioni? Si andava là dove una parola di conforto un aiuto poteva essere utile. Le famiglie erano angosciate per i figli dispersi sui vari fronti. Noi avevamo organizzato una specie di servizio informazioni attraverso la croce rossa : i miei aiutanti prendevano nota di coloro che chiedevano notizie e appena possibile mandavano le informazioni richieste. Erano viaggi avventurosi nel freddo più intenso. A Cesena non c’erano vetri alle finestre e ricordo che guardavo perplesso i soldati inglesi che tappavano le finestre  con certe coperte di lana che ci facevano morire di invidia. Sempre a Cesena mi ricordai che da qualche parte doveva esserci il figlio dello scrittore Oriani che si era ritirato nella sua villa. Andai a cercarlo, timoroso di nono trovare né lui, né la villa, né la sua famosa biblioteca. Invece era tutto intatto. Oriani, mi dissero,  era già partito  per Firenze o per Roma”.

A mano a mano che le sue visite si spostavano al nord, sentiva un cambiamento di clima politico?

“Si, ma non era solo un fatto di nord e sud; il fenomeno aumentava col passare del tempo, mi accorgevo che col crescere dell’impegno politico crescevano anche , indipendentemente da questo, le posizioni fideistiche; si tornava spesso al credo cieco che ci eravamo lasciati alle spalle. Ricordo di avere fatto questa riflessione in occasione di una sosta a Poggibonsi. Il comando era sistemato in un palazzo sulla piazza: dalle finestre aperte, entrava la voce degli altoparlanti. C’era un comizio. Ricordo che l’oratore, piuttosto sprovveduto, ad un tratto ebbe l’idea di gridare questa frase:” E come diceva Garibaldi: teniamoci stretti”. Fu un ovazione. I generali americani che stavano accanto a me e che non capivano l’italiano mi dissero: “quello si deve essere un oratore!”.

Quando ebbe veramente l’impressione che una pagina di storia fosse conclusa?

Re Umberto II sul Fronte Italiano 1944 con il Friuli

Re Umberto II sul Fronte Italiano 1944 con il Friuli

“L’ebbi più volte, ma ricordo soprattutto il mio volo del primo maggio 1945. Decollai da Villafranca con alcuni ufficiali americani, per una ricognizione: la linea tra zone liberate e territori ancora in mano ai tedeschi si faceva sempre più fluida. Partimmo con un caccia P.51 e sorvolammo molti centri della Lombardia, poi ci abbassammo sulla sulla Milano a Torino e notammo che i tedeschi in ritirata marciavano ancora con grande ordine, tanto che una loro batteria ebbe il tempo  di fermarsi e di aprire il fuoco contro di noi. Riprendemmo quota per abbassarci su Milano. La zona di San Siro era bloccata da veicoli, ma non si capiva di chi fossero. Scendemmo sul centro e fummo sorpresi di vedere una folla immensa che inondava le vie: il grande piazzale Loreto brulicava. Chiesi agli ufficiali americani se sapevano di cosa si trattasse . Ma la cosa stupiva anche loro, Non sapevano che Mussolini era già morto, che era stato portato in quel piazzale dove la gente sarebbe accorsa per giorni. Ci raccontarono tutto dopo, quando fummo rientrati.

A Milano misi piede il giorno 4, atterrando al Forlanini. Visitai la caserma del 27° artiglieria Cuneo e nel pomeriggio, ricevetti il questore e Cadorna , a villa Crespi. La sera fui ospite al Castello di Carimate e l’indomani fui rimproverato dell’imprudenza , perché i carri tedeschi erano ancora a poca distanza da quei luoghi. Mi riferirono che Pertini, quel giorno, passò davanti a Villa Crespi e saputo che c’era il Luogotenente sparò alcune raffiche. Ma è passato tanto tempo: non ricordo neppure chi me ne parlò”.

Lucio Lami – “Il Giornale” – 7 novembre 1979