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Interviste 46-64

Intervista di Mauro Fazio, 1950

By Luglio 21, 2020Novembre 12th, 2021No Comments

Umberto di Savoia è d’accordo con Dayton

Articolo comparso su L’illustrazione Italiana 5 novembre 1950

Mentre parlavo con Umberto di Savoia accanto al fuoco, l’ex-Regina Maria Josè mi guardava con gli occhi diventati indicibilmente tristi. Fuori dai vetri dei malinconico castello di Merlinge si vedeva cadere la grigia pioggia autunnale

 

Re Umberto II e Maria José Merlinge 1950

Re Umberto II e Maria José Merlinge 1950

Ginevra, novembre.

Forse, la colpa è della pioggia. Della pioggia che da stamane cade con violenza, e ha avvolto di nubi grigie il castello di Merlinge e il vasto giardino colmo di fiori rossi. Forse è la pioggia che ha steso un velo di malinconia su questa piana, accentuandone la solitudine. Un romitaggio.
Oltre dieci chilometri da Ginevra. Un ginepraio di stradette, lucide e dritte. Quando arriviamo al cancello della villa, l’ultima casa che abbiamo lasciato alle spalle è distante più di due chilometri. Coperte dalla foschia, le montagne lontane non si vedono. Un deserto.
Il castello di Merlinge è in realtà una villa dai molli contorni, una tipica villa elvetica, che sorge in fondo a un lungo viale. A destra, un portico con le automobili, unico legame apparente a un mondo che sembra dimenticato.
Anche in casa, silenzio assoluto. Una piccola scala, pavimenti dalle mattonelle rosse, larghi tappeti, fiori. Dalla scala spunta un cameriere in giacca bianca.
Forse, la colpa è della pioggia. E di quel desolato assurdo panorama. Ma quando appare la regina l’impressione di tristezza, di sofferenza, prima vaga e indecisa, acquista un contorno netto, un volto. Il volto di Maria José. Alta, vestita di viola scuro, ha l’aria stanca di chi molto ha sofferto: il suo aspetto rivela un dolore passato, che pur ancora punge e rode. Gli occhi hanno sfumature tristi, parla sottovoce, è straordinariamente gentile, ma qualcosa manca nel suo discorso, ed è la partecipazione a quanto ha intorno, l’aderenza spontanea al mondo esterno. Ha quasi tralasciato quelle manifestazioni artistiche e culturali che prima la impegnavano assiduamente. La sua giornata si svolge per la maggior parte in casa: lavora a maglia e continua il suo studio sulle origini di Casa Savoia.
Intorno a lei, forse per opera del signor Cassa, che dirige la casa della Regina, forse per l’ambiente strettamente svizzero, si ha un residuo di etichetta, quella che a volte, nonostante tutto, rimane intorno ai sovrani in esilio.
A colloquio col Re
Viva è invece la partecipazione al mondo esterno di Umberto. Piuttosto grasso in volto, giovanile, sorridente, dimostra per le cose e per gli uomini una curiosità, una sollecitudine, un interesse pronti, e apertissimi. Ci siamo ritirati a parlare nello studio al primo piano. Vestito di grigio scuro a un petto, camicia a righe, scarpe marrone di camoscio, calze a colori vivaci, il Re, parlando, non riesce a stare fermo sul divano, accavalla e scioglie le gambe, accompagna il discorso coi gesti.
Come tutti, che siano lontani dalla loro casa, ama, pur mostrandosi curiosissimo di sapere, far capire che si è tenuto al corrente, che segue gli avvenimenti, che conosce molte cose d’Italia, da cui tanti chilometri lo dividono e a cui tanti dolori purtuttavia lo uniscono.
Dayton. Era naturale che il discorso, cominciando, cadesse su quello. Umberto vuol conoscere la reazione del pubblico. La credeva forse diversa, improntata ad un senso di dignità nazionale che, evidentemente, si sente di più stando fuori casa: il senso di dignità che diventa nazionalismo o campanilismo nell’emigrante o nel turista, anche se va per un giorno soltanto fuori, magari a una partita di calcio.
La situazione, però, gli è chiara e la necessità, per alcune classi, di abbandonare alcune posizioni ormai superate, lo trova deciso. Occorre che questa gente – e si riferisce ad un certo gruppo di industriali e capitalisti – si convinca che non si può continuare con i vecchi sistemi. E tanto più nei grossi agglomerati industriali, come Genova, Milano, che son quelli dove oggi la situazione è più seria. Bisogna garantire il pane alle masse, in qualsiasi modo .
Dayton, dunque, come staffilata a chi non si rende conto dell’evoluzione sociale all’interno del Paese, ha l’approvazione anche del Re, che non nasconde pure di ritenere sorpassate certe posizioni di prestigio e di isolamento dell’aristocrazia, proprio la dove essa di queste posizioni è più gelosa.
Il problema della miseria
Il problema economico è seguito attentamente da Umberto, che sta scrivendo vari articoli sull’argomento.
“Il mio vecchio chiodo è l’emigrazione: mi hanno preso in giro qualche volta per la mia insistenza, ma soltanto con l’emigrazione si può risolvere il problema della miseria, che è il nostro. Non c’è da farsi illusioni: forse la nostra posizione è la più grave in Europa. Noi non riusciamo a sfoltirci perché l’emigrazione non è stata affrontata sul serio. E credo di poter dire che l’emigrato non è sufficientemente protetto ed accompagnato, ne ho avuto esempi tristi dal mio osservatorio di Lisbona. Io vado là ad ogni arrivo di nave italiana e dalla banchina colgo a volte situazioni tragiche, Cerco di rimediare sul posto, ma si tratta di casi isolati, e il problema invece sarebbe quello di compensare l’aumento di popolazione, Problema cui è connesso l’altro del Mezzogiorno .
E qui i principi di Dayton trovano ancor più l’appoggio del Re: nell’insufficienza di dinamismo con cui è stata affrontata la situazione, nella necessità di mettere tecnici esperti a capo dell’iniziativa e di rinunciare alle decisioni a tavolino. “Le faccio notare – aggiunge – che da qui è molto facile criticare; è per questo che io mi astengo sempre dal fare commenti, non soltanto per la mia situazione particolare, ma perché chi è lontano e portato sempre a giudicare, a consigliare, mentre gli altri dicono, e hanno ragione, bisognerebbe che fosse al nostro posto per parlare. Noti ancora che io so le difficoltà e so quanto si sta facendo per superarle,.
«E il riarmo, come va?». Mi chiede cambiando argomento. Accenno alla perplessità e difficoltà psicologiche che sono rimaste nell’ambiente militare. Voglio essere vago ed allusivo, ma, Umberto di Savoia sorride, come ha sempre sorriso nella sua vita, ed entra in argomento con pacatezza: «Eppure bisognerebbe, una volta incamminati verso la ricerca di un minimo di sicurezza, cercare di ripristinare quel vecchio spirito che teneva assieme l’esercito. Ricordo quel che significava per tutti, anche per le famiglie degli ufficiali, la festa dell’artiglieria, Santa Barbara. Al 13° di Roma, per esempio. Senza pensare al militarismo, è questo che manca e bisognerebbe favorire; il rinascere, degli affetti all’interno delle Forze Armate.
Il discorso viene così sulla guerra passata: “E’ su questo punto che io uscirei dal mio riserbo, abbandonando ogni prudenza. E’ ignobile che in Italia ci sia chi scrive o parla denigrando il soldato italiano. lo so che cosa ha sofferto in Russia, in Africa; che cos’hanno fatto l’Aeronautica e la Marina. Quando si sa che c’era chi passava le informazioni al nemico.
Le parole così riferite hanno forse un tono un po’ retorico, ma il Re certo non dava la impressione di cercare l’effetto.
Accenna a un triste episodio di cui si è parlato molto, purtroppo un episodio di spionaggio. Il Re m’interrompe: “Su questo punto dovreste far luce voi giornalisti; non preoccupatevi di pettegolezzi, non interessatevi se son qui, e prendo l’aereo o faccio una gita. Fate luce, dite la verità sulla guerra, su chi si è unito ai tedeschi che ci volevano tenere oppressi, in posizione di inferiorità militare, e agli inglesi che erano allora il nemico. Si riscalda a questo punto, rosso in viso, e accompagna il discorso con gesti concitati.
Dopo un po’ di silenzio, il pensiero cade sui ricordi. Passiamo in rassegna alcune personalità. Vuole avere notizie di un vecchio avvocato di Roma, s’informa delle sue condizioni attuali, della sua vita. Poi s’informa del porto di Genova e di quello di Napoli, parla della progettata idrovia padana; con dati recenti alla mano mi chiede anche i particolari sull’autostrada Svizzera Milano-Mare e Genova-Savona.
Restiamo a chiacchierare nello studio per più di un’ora. Il grande camino è già acceso nel triste e freddo pomeriggio. Le pareti sono fasciate di libri: molte opere di D’Annunzio, legate in pelle blu e accanto una fotografia del Poeta in divisa, con dedica a Maria José. Tutte le opere di Goldoni in piccolo formato, molti libri d’attualità, come quelli di Monelli, una raccolta vastissima di opere letterarie, libri d’arte e, immancabile, l’Enciclopedia Treccani.
Dopo il colloquio, Umberto e Maria José escono in automobile per una passeggiata accompagnati dal signor Casai e dall’aiutante di campo del Re. La casa resta vuota. Nel portacenere non una traccia di sigarette.
Un gran senso di vuoto, accresciuto dall’impassibilità del giovane Piccard, uno spilungone dalla giacca tagliata all’antica, che si occupa dell’educazione di Vittorio Emanuele. Il piccolo principe è a scuola, al collegio cattolico Florimont. Si alza tutte le mattine alle 6,30 per recarsi con la Topolino al collegio, che inizia le lezioni alle 8 20. Studia latino, tedesco, italiano, francese, storia, scienze, sino alle 18,30. Mangia a scuola. Ha qualche 9 e qualche 10 in scienze, bene il latino, meno le altre materie, qualche volta è molto al disotto del 9. Alla domenica è libero: va a cavallo. A Natale andrà a sciare probabilmente a Montana, nei pressi del paese dove abita Piccard. E’ la sua fragile salute che trattiene in Svizzera Maria José. E Umberto, di tanto in tanto, viene a fare una visita.
La casa si anima soltanto quando entra una bella ragazza, bionda, in costume di amazzone. Aspetta Maria Pia per andare nei campi a cavallo; passeggia facendo un po’ di rumore con gli stivaloni. Poi si sente una voce squillante, e scende di corsa Maria Pia. Resta sorpresa dai fotografi, cerca di scappare in fretta. Indossa un paio di calzoni chiari e un maglione attillato azzurro. Sale in automobile con l’amica, partono a forte andatura verso la campagna.
A parlar sottovoce, in casa, resta Piccard. Nell’altra stanza si sente una voce italiana di donna, un’amica della principessa, che si sfoga, magari col maggiordomo.
Usciamo. Non piove più, ma il cielo pesa ancora grigio sul castello di Merlinge. In fondo al giardino c’è una cappella. Tutte le domeniche Maria José vi fa dire la Messa.
Mario Fazio