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Regina Maria José, interviste

La mia vita nella mia Italia – di Giacomo Maugeri 1958 – 8

By Ottobre 20, 2018Ottobre 24th, 2021No Comments

Scampai a una tromba marina due giorni prima che nascesse Maria Pia

Il fedelissimo Alfonso – Umberto giocava come un ragazzo

Il più assiduo testimone della vita dei principi di Piemonte prima e dopo la nascita di Maria Pia si chiama Alfonso Botta. È impiegato, in qualità di custode, alla villa Floridiana al Vomero; guida i visitatori in quelle belle sale dove, con un gusto e un’eleganza rari in un museo, è sistemata una delle più belle, più complete e, a giudicare dal numero esiguo dei visitatori che vi si incontrano, meno conosciute raccolte di porcellane del mondo. Per Mara José e per Umberto è sempre il “caro Alfonso”. È così che lo chiamano, con affettuosa confidenza, nelle loro lettere. E con loro egli si sfogò delle amarezze che dice di aver subito dopo il’referendum. «Da quando siete partiti voi», scrisse ad Umberto, «le silurate mi arrivavano da tutte le parti». Alfonso ricorda con commozione il tempo in cui fu il factotum di villa Rosebery, luogo di riposo estivo dei principi di Piemonte, incantevole cornice ai loro svaghi più sereni e più intimi. Ufficialmente, era il maestro di nuoto e il barcaiolo di Maria José; in realtà, sbrigava una molteplicità di incombenze: con una lunga canna, di buon mattino, batteva alla finestra della camera da letto della principessa e talvolta si permetteva di accompagnare il gesto con un sibilo prettamente marinaro e napoletano; le faceva quotidianamente un succinto rapportino sulle novità del rione di Posillipo; amministrava la piccola beneficenza di Maria José, in un modo che si vedrà più avanti; serviva a tavola, in maglietta e pantaloncini bianchi; dava esibizioni di tuffi quando c’erano ospiti; last but not least, sorvegliava la principessa quando faceva il bagno (Maria José nuotava benissimo, ma egli aveva ordine di starle vicino quando era in acqua) e la conduceva in barca, « Alfonso », gli aveva raccomandato Umberto, «voi dovete fare tutto quello che la principessa vi comanda. Se vi dice che dovete buttarvi a mare, voi vi dovete buttare subito». Rispetto, riferendo tutto ciò, il pittoresco modo di esprimersi di questo figlio di Posillipo.

Villa Rosebery, sotto i Borbone, era stata la residenza ufficiale dell’erede al trono delle Due Sicilie, il conte di Trapani. Poi era stata acquistata da lord Rosebery, dalla famiglia di lui donata a Mussolini e da questi ceduta al comune di Napoli. L’amministrazione civica la mise a disposizione dei principi di Piemonte. La prima estate a Napoli, Umberto e Maria José avevano fatto i bagni a Trentaremi; era stata costruita per loro una spiaggetta dove essi si recavano tutte le mattine con un motoscafo, da palazzo reale, portandosi la colazione al sacco. L’estate seguente, quando la nascita di Maria Pia era prossima, villa Rosebery offrì alla loro gioiosa attesa un ambiente più propizio, romantico e raccolto. Alfonso Botta venne assunto in servizio quell’anno; lo aveva raccomandato all’amministratore reale Nardi, un imprenditore che eseguiva lavori a palazzo, ed egli si rivelò la persona che ci voleva: discreto e fidatissimo. I principi non volevano altro personale. Arrivavano a villa Rosebery la mattina e rientravano a palazzo reale la sera, dopo avere trascorso tutta la giornata sul mare; perciò una sola persona di servizio bastava. Solo negli anni successivi, quando le camere da letto vennero completate, villa Rosebery divenne una vera e propria residenza estiva. La colazione e il pranzo venivano cucinati a palazzo reale e portati ai principi in una cassa di cottura, con un camioncino.

Appena la principessa arrivava – così mi ha raccontato Alfonso Botta – la sua prima domanda era questa: «Ci sono novità?». Egli riferiva allora tutte le notizie che potevano interessarla: la tale deve sposare la figlia e non ha soldi, la talaltra ha il bambino che deve essere operato. Poiché tutta la povera gente di Posillipo si raccomandava a lui, egli era informato degli affanni e delle gioie di ciascuno e fedelmente riferiva a Maria José, che prendeva nota di tutto e disponeva affinché chi aveva bisogno di un aiuto lo ricevesse prontamente. Poi Maria José indossava il costume da bagno e Alfonso la conduceva In barca.

« Quelle gite In mare, mattinate o pomeriggi interi trascorsi in barca, in compagnia di Alfonso», dice ora Maria José, «sono tra i ricordi più piacevoli del tempo vissuto a Napoli. Mi interessavano moltissimo i suoi discorsi. Rimanevo ore ed ore ad ascoltarlo e tante cose, sulla vita della gente umile, sul loro modo di pensare, le ho apprese da lui.Sono stati i momenti migliori, forse perché tutto mi pareva bello e ogni più piccola cosa interessante, quando aspettavo Maria Pia».

Fino agli ultimi giorni della maternità, Maria José volle continuare i bagni di mare, i tuffi, il nuoto, la pesca. La piccola gente di Napoli commentava con preoccupazione queste imprudenze della principessa e le donnette di Posillipo facevano novene alla Madonna perché la proteggesse dal pericolo; e pericolo vi fu davvero, poiché, proprio due giorni prima che nascesse Maria Pia, Maria José, uscita a pescare con il fedele Alfonso, venne colta In mare da un furibondo uragano e corse il rischio di annegare.

«Ci eravamo allontanati un poco dalla riva», racconta la regina, «ma non a una distanza che si potesse dire pericolosa; cercavamo un posto per calare la rete. La tempesta sopraggiunse improvvisa. Vidi all’orizzonte un’enorme colona d’acqua che avanzava verso la costa a velocità vertiginosa. Era uno spettacolo meraviglioso, dai colori stupendi; non avevo mai visto nulla di simile. Io non mi rendevo conto del pericolo e anzi mi sarebbe piaciuto avvicinarmi, ma Alfonso disse che bisognava affrettarsi a tornare a terra; il mare era diventato agitato, la barca era sballottata dalle ondate e il pover uomo faceva sforzi tremendi per impedire che si capovolgesse. Per di più, un furibondo acquazzone stava allagandola. Alfonso era molto preoccupato, per me soprattutto, che ero in quelle condizioni; ma io non avevo paura. Ricordo benissimo quei momenti: rimanevo incantata a contemplare la tromba marina che veniva verso di noi. Ma, arrivata all’altezza dell’isolotto della Gaiola, la colonna d’acqua si spezzò; io rimasi delusa e dissi tra me e me; ’’Peccato!”. La situazione diventava sempre più critica. Per quanti sforzi facesse, Alfonso non riusciva ad accostare la barca, perché le ondate, rimbalzando sulla scogliera, ci spingevano in fuori.

Dal giardino di villa Rosebery veniva giù un torrente di melma. Abbandonammo la barca e raggiungemmo la terra a nuoto. Si faceva una grande fatica, perché nuotavamo in un mare di fango. Una volta a terra, dovemmo attendere che la tempesta si calmasse, rimanendo riparati alla meglio nella baracca dove si tenevano gli attrezzi della pesca. Mancavano, si può dire, poche ore alla nascita di Maria Pia, ma non risentii la minima conseguenza, neanche il più piccolo malessere. Umberto, quel giorno, si trovava a Roma. Fu avvertito telefonicamente dell’accaduto e fece immediatamente ritorno a Napoli; volle che Alfonso gli raccontasse per filo e per segno tutto. ’’Grazie per quello che hai fatto”, gli disse; ’’meriti un regalo”, e gli porse mille lire ».

“Alfonso, il portafoglio!”

 Due giorni dopo, il 24 settembre 1934, nella nursery preparata al secondo piano del palazzo reale, in quella parte dell’edificio che dà sul molo grande, da dove partono i vaporetti che vanno a Capri, veniva felicemente al mondo Maria Pia.

Scherzosamente, ora, Maria José attribuisce la passione per il mare che ha la principessa alla pericolosa avventura di cui lei, sua madre, è stata protagonista: « Mia figlia adora il mare, le piace stare in acqua ore e ore e nuota a meraviglia quando il mare è agitato; si vede che ha imparato a nuotare prima di nascere».

«Desideravo un maschio», aggiunge la regina, «ma quando Maria Pia nacque era così bellina che si fece perdonare subito di essere una femminuccia. Aveva i capelli fini, come seta, dei fili d’oro. Dormiva con i pugni chiusi, stretti, e le braccine levate in alto, come ho visto dormire, appena nato, uno dei suoi gemelli. Dimitri. La presenza di un essere nuovo, accanto a me mi pareva un’esperienza straordinaria. I primi passi di mia figlia, i primi bagni di mare: ricordo ogni più piccolo gesto, di lei. Ricordo quando stringeva un oggetto in una mano e non voleva lasciarlo più. Ricordo il suo costumino da bagno, blu chiaro. Aveva due anni ed era bionda bionda. Suo padre giocava con lei come un ragazzo. C’erano parole che Maria Pia non riusciva a pronunciare e il re si divertiva moltissimo a fargliele ripetere. Non poteva, per esempio, dire ’’cinematografo”.

Gli svaghi di Maria José e di Umberto, a villa Rosebery, erano dei più innocenti. Entrambi avevano la passione per la pesca. Il più gran divertimento di Maria José era la “lampara”. Oppure le piaceva moltissimo farsi condurre in barca da Alfonso, nelle grotte: alla grotta dei Tuoni, dei Piatti, al Palazzo degli Spiriti. Rimaneva a lungo ad ascoltare, fumando qualche sigaretta, il rimbombo del mare. Tante volte si faceva svegliare all’alba per andare ad assistere alla pesca delle aringhe. Fin dai primi giorni l’aveva incuriosita il frastuono che fanno i pescatori del golfo, percuotendo con le mani i fianchi della barca, per spaventare i pesci e dirigerii verso la rete. Finché non si era resa conto coi propri occhi di quella bizzarra usanza di pesca non si era acquietata. Una mattina rimase ad aspettare ore e ore che i pescatori tirassero su la rete. Alfonso, avviciniamoci », ordinò al barcaiolo. «Come comanda Vostra Altezza Reale», rispondeva sempre Alfonso. Si diede a remare energicamente verso le barche delle aringhe, che vanno sempre a due a due, «Alfonso, domandiamo com’è andata la pesca». Era andata malissimo, una sola aringa era rimasta nella rete e gli uomini delle barche avevano il viso lungo, deluso, avvilito. « Alfonso, il portafoglio. Comperiamo l’aringa». Per quel pesciolino, Maria José fece dare ai pescatori tutto il denaro che Alfonso portava indosso: ottocento lire; e si prese trionfante l’unica preziosa aringa che quella mattina fosse stata pescata nelle acque di Posillipo. La principessa aveva raccomandato ad Alfonso di portare con sé ogni volta che uscivano in barca, una certa somma, non meno di mille lire, in biglietti di piccolo taglio. (Era Umberto che di quando in quando gli dava il denaro per le piccole spese di casa). Ogni giorno, Maria José ripartiva le mille lire tra i pescatori meno fortunati. Vedeva in lontananza una barchetta, con un pescatore solitario. «Alfonso, avviciniamoci. Alfonso, domandiamo quanti figli ha». «Tiene sei creature, Altezza Reale», riferiva il barcaiolo. «Alfonso, il portafoglio», ordinava Maria José. Ciò che pescava lei (e assai spesso, quando andava a mare con la ’’lampara”, tornava indietro con un bottino abbondante) lo faceva distribuire sempre. Faceva mettere da parte qualche cosa per la mensa di villa Maria Pia (era così che l’avevano ribattezzata da quando era nata la principessina) e il resto lo regalava. Era Alfonso che lì per lì cuoceva ai ferri qualche ’’sarago” o qualche grossa triglia. I principi amavano organizzare pranzetti alla buona e invitavano talvolta a Posillipo alcuni amici, i Colonna, i Pavoncelli, i Pignatelli, i Davalos, la principessa di Gerace, il barone Gallotti. Umberto aveva fatto costruire il tennis e le persone più intime dei principi erano loro compagni di gioco e spesso rimanevano a pranzo e a cena. Non c’era sfarzo,  le cose venivano organizzate alla buona, senza intervento del personale di palazzo. In seguito, a villa Maria Pia, venne costruita la cucina e da palazzo si fece venire un cuoco. Ma per molto tempo Alfonso si adattò a fare di tutto, rifaceva i letti e rispondeva persino ai telefono. «Alfonso, dev’essere mia madre. Rispondi tu al telefono», gli diceva certe volte Umberto quando stava facendo il bagno.

La Regina Elena, dal Quirinale, telefonava spesso. Venne la prima volta a villa Rosebery nell’imminenza della nascita di Maria Pia. Anche la Regina Elisabetta, che portava il lutto stretto per re Alberto, era venuta da Bruxelles per assistere la figlia. C’era con lei anche la nonna di Maria José, la granduchessa di Baviera, anche lei una Maria José, nata principessa di Braganza. Sia alla madre sia alla
nonna della principessa Alfonso dava lezioni di nuoto e da lui l’ardimentosa Elisabetta, che nella sua vita aveva voluto apprendere ogni cosa e provare tutto, imparò a fare i tuffi e a nuotare sott’acqua. Per i servizi resi, il barcaiolo ricevette nel ’37 una decorazione, motu proprio, della Regina dei Belgi. La ReginaElena, invece, appassionatissima della pesca con la canna, si faceva  comprare l’esca da Alfonso e si metteva a pescare per giornate intere su uno scoglio. Sino ad ora Alfonso non aveva mai rivelato a nessuno due suoi peccati. Tanto meno aveva osato rivelarli alla principessa. Si è deciso a parlare di questi episodi, sepolti per anni nel suo cuore, con me, l’estate scorsa a Napoli, quando dopo prolungate ricerche, giacché egli era in vacanza, lo trovai. I segreti così a lungo custoditi sono questi. La prima volta che Maria José lo vide e credette che egli piangesse per la commozione di trovarsi all’augusta presenza di lei, le sue lacrime erano causate da un atroce mal di denti.
« Lei piange? », gli aveva chiesto  allora la principessa intenerita e lusingata. Come poteva egli disilluderla? Era il suo primo giorno di servizio, Nardi gli aveva detto: « Mi raccomando, mi faccia fare bella figura ». E proprio quel giorno, mentre egli attendeva la principessa per il suo primo bagno, il mal di denti era esploso. In barca, sforzandosi di dominare il dolore, remava e lacrimava. E il dolore aumentava sempre. «Lei piange?». Che doveva rispondere? Disse una cavalleresca bugia: «Altezza Reale, piango di contentezza ».