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Colloqui con re Umberto di Nino Bolla

Intervista (1) di Nino Bolla a Umberto II sull’andamento della guerra nel 1943

By Febbraio 16, 2021Gennaio 24th, 2022No Comments

A me la verità si poteva dire…

Un giudizio di Umberto alla vigilia dell’attacco alla Sicilia: La vera difesa dovrebbe manifestarsi nel retroterra non sul mare.

Nei miei colloqui con Vittorio Emanuele III pubblicati recentemente annunciavo i  colloqui con Umberto II. I primi tre ebbero luogo, si può dire, nel medesimo periodo di tempo, cioè nel 1945 rispettivamente a Catania, a Brindisi e a Napoli. Il quarto ed il quinto a Roma, nel 1945 e 1946: gli altri a Cascais nel Portogallo tra il 27 Gennaio ed il 1 Febbraio di quest’anno.

Portai con me a Lisbona i primi cinque colloqui già scritti e chiesi all’ex Sovrano che là dove lo stimava necessario inserisse una sua nota chiarificatrice.

Troppe cose si sono scritte e si scrivono talvolta di fantasia nei confronti di Re Umberto sia nei confronti della Regina che ora risiede in Svizzera con il figlio Vittorio Emanuele.

“Ho apprezzato i suoi colloqui con Vittorio Emanuele III – mi ha detto a Cascais – per la rispettosa esposizione del pensiero di mio padre”.

“Smentisco che esistano come invece si è scritto memorie vere e proprio di Vittorio Emanuele III. Esiste un diario degli avvenimenti scrupolosissimo come date e persone ma senza note particolari o commenti speciali. Esistono documenti e lettere private. Con quest’ultime e con il diario si potrebbe preparare un volume di grande interesse ma è prematuro parlarne”.

Umberto aggiunge non essere vero che Vittorio Emanuele III abbia espresso giudizi storici severi come qualcuno ha insinuato su  De Gasperi e su Togliatti, e neppure su Sforza.

“Alla vigilia di partire per l’Egitto le parole più significative che mio padre mi rivolse furono: “Se giudicherai necessario di avvalerti dell’aiuto anche dei miei nemici nell’interesse del Paese non avere esitazioni”.

 

Fine marzo 1943. Il sole inonda la piana di Catania, quasi voglia segnalare ad invisibili alianti il punto esatto dove atterrare.

Al comando della 213 divisione costiera, a Palermo, è giunto un fonogramma del 16 Corpo d’Armata che conferma per quel giorno del principe di Piemonte comandante le armate del sud, in visita alle difese della Sicilia. Egli si fermerà a colazione alla mensa del comando per poi proseguire verso il ponte di Primoselle, sul fiume Simeto e di là verso Lentini, Carlentini, Augusta. (Allo sbarco degli angloamericani questi nomi assumeranno una drammatica importanza storica).

Desiderio di verità.

Il generale Tosi, comandante la 213° divisione, alla quale appartengo come capo del personale, avendo saputo che conosco personalmente l’atteso ospite mi dice: “vuole essere lei di servizio al comando per ricevere sua altezza reale all’ingresso della nostra sede?” Il principe giunge poco dopo mezzogiorno.

“Tutto avrei supposto fuorché trovarla qui”, mi dice scandendo di macchina. E’ in divisa di generale. Nella stessa macchina e in quella che la segue. Oltre il primo aiutante di campo generale Gamerra, si trovano i generali Roastta e Carlo rossi. Molta folla, specie donne e ragazzi. Accorre dinanzi alla sede del comando.

Accompagno il principe lungo lo scalone che porta al primo piano. Dopo alcuni passi domanda fissandomi : “Il morale delle truppe?  Non abbia reticenze. Non sapere è peggio che non agire”. L’invito è fatto con una cordialità insistente. Alle nostre spalle si ritma il passo studiato del seguito. Penso : “ma la verità non glie l’hanno già detta?”

“A me la verità si poteva dire, anche perché ero io stesso ad esigerla, lei pure ne ebbe la prova! E a mia volta non ho mai nascosto la verità ai comandi superiori. a Mussolini la verità fu spesse volte nascosta anche perché le sue reazioni erano differenti. A mio padre, data l’età e la soggezione che la sua persona incuteva si potevano non dire talune cose. Ma a me che parlavo con tutti e invitavo tutti alla massima sincerità, generali, prefetti, alti prelati, semplici cittadini sempre si confidarono e là dove potei agire nell’interesse del Paese o per il bene di chi soffriva sempre intervenni”.

“Non tanto lo sbarco è temuto, spiego, quanto l’impreparazione a mantenerlo. Occorre materiale, materiale, materiale”.

“Le disposizioni sono state date”. “Le disposizioni? A molti soldati mancano persino le scarpe”. “Mi pare impossibile che i servizi  non funzionino come dovrebbero. Il soldato rischia di più se fornito di messi inferiori alla necessità”.

Siamo giunti al primo piano . Il generale Tosi presenta gli altri ufficiali del Comando. Fuori, nella strada la folla è aumentata. Il Principe s’affaccia più volte al balcone. D’un tratto s’ode l’allarme, aerei su Catania, sul vicino aeroporto di Gerbini: alcuni puntano su Paternò. Dopo colazione Umberto mi concede un  breve colloquio. Parla della Sicilia, che tanto ammira e del popolo siciliano, così generoso e così provato: mi ricorda che già precedentemente era venuto nell’isola per Natale e la Pasqua a Palermo, la città più colpita, visitando durante i bombardamenti i rifugi popolari per recare qualche conforto. Ha vistato le difese costiere, Si spesi tra Catania e la foce del Simeto. “Dica pure liberamente”. “I reticolati sono troppo pochi e troppo in avanti. Il mare ne inghiottirà per conto proprio. La vera difesa dovrebbe manifestarsi nell’entroterra non sul mare!”

Forse il principe sa cose che io ignoro circa i rinforzi tedeschi già avviati o pronti per essere avviati qui…. E che non giungeranno mai. Il generale Roatta ed il generale Gamerra s’avvicinano. L’ora è tarda e l’ospite riparte.

Dopo sei mesi

Dopo sei mesi nuovo incontro a Brindisi. Quante cose mutate! siamo ora al fianco degli alleati con i tedeschi di fronte. Il principe ha lasciato Roma seguendo il Re e Badoglio: io mi trovo nelle Puglie dopo essere risalito a tappe coi resti del mio battaglione fino a Bari. Chiamato per un colloquio con Vittorio Emanuele III vengo avvertito dal generale Gamerra che il Principe dopo l’udienza sovrana vorrebbe parlarmi. Rieccomi di fronte a Umberto: qualcosa di grave anzi di triste è sul suo volto, segnato dagli avvenimenti. Dice: “So che lei è rimasto ferito in Sicilia. Quei benedetti reticolati lungo il mare non arrestarono nessuno… La battuta non lo convince ed è lieto che io subito dopo sfati la leggenda che i soldati siciliani se ne siano andati tutti alle loro case alle prime notizie dello sbarco .

D’altronde non ne dubitavo. Mio padre mi ha parlato spesse volte del valore dei soldati siciliani nella guerra del 1915-18 ed io pure in questa stessa guerra l’ho constatato. Certo se anche altrove come sulla piana di Catania si fosse resistito…” Si interrompe e mi guarda. Il pensiero è significativo. Anche se sfocato dinanzi al nuovo dramma dell’Italia. Come se avesse letto nella mia mente mormora: “E’ veramente doloroso il dramma della patria ma peggio ancora della disfatta è la divisione attuale tra italiani. E non soltanto tra nord e sud ma sia qui che lassù. Se è comprensibile benché doloroso che al Nord siano contrapposti italiani ad italiani e ciò soprattutto a motivo della presenza dei tedeschi è grottesco che al sud dove risiede il governo legittimo e dove lo scopo dovrebbe essere unico, gli italiani per motivi politici siano egualmente divisi”.